mercoledì 16 maggio 2007

RICORDA I TUOI PROFF

Questo post è dedicato al ricordo dei modelli più significativi - in positivo e/o negativo - dei nostri professori.
Istruzioni per l'uso: per postare i contributi basta cliccare su 'commenti' e inserire il testo. Firmati o in forma anonima i nostri messaggi saranno sicuramente un archivio di ricordi unico e molto utile.
Vi ricordo che se avete suggerimenti per la sezione link, potete o inserirli tra i 'commenti' o inviare una mail a ssasviiiciclo@gmail.com, così provvediamo a caricarli sul blog.
A presto.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Scriveva Mark Twain ‘When a teacher calls a boy by his entire name, it means trouble.". Insomma, attenti ragazzi, se i proff vi chiamano per cognome sono guai.
È da questo riferimento letterario che parte il ricordo della mia professoressa di italiano, latino, greco, geografia, storia (e chi più ne ha più ne metta) con la quale ho trascorso i primi due anni del liceo, nello specifico IV e V ginnasio. Una sorta di mater/matrigna che mi ha iniziato ai piaceri delle lingue classiche, dell’epopea sumerica di Gilgamesh, dei poemi del bardo Omero, ma anche alla nausea per l’addio ai monti di Lucia dei Promessi Sposi (passo ripetuto e recitato a memoria ogni giovedì alla V ora per evocare in lei il ricordo della figlia di nome Lucia che frequentava la classe accanto alla nostra…).
Mater per la sua costante presenza nella nostra vita adolescenziale, per i suoi sorrisi-quasi-ghigni dalle 8 ogni mattina per 4 ore; matrigna per essere riuscita sin dal primo minuto della prima ora del primo giorno di ginnasio a sussumere in un solo gesto tutte le contraddizioni di una scuola, il liceo classico, che se pur d’ispirazione sinistroide, anticlericale, progressista, liberale, è, o può essere, l’emblema di una società classista e retrograde. Percorso di studi che tuttavia sceglierei nuovamente fosse solo per aver maturato in quegli anni sia la capacità di valutare criticamente sempre e in ogni dove me stessa e ogni cosa, che per aver immagazzinato un’ottima dose di autostima.
Ma torniamo al buon Twain. Suona la campana, inizia l’appello. Per il mio cognome, sono destinata ad essere sempre l’ultima o quasi l’ultima in elenco…allora aspetto, guardandomi intorno curiosa di conoscere i nuovi compagni di classe e assistendo ad un elenco di ‘Mario (poi cognome), ciao come sta mamma?’; ‘Annalisa (poi cognome), fai i complimenti a papà per il suo libro’; ancora ‘Giuseppina, Giusy vero? mamma mi ha detto che ti chiamano così; ‘Valentina (nessun cognome pronunciato), tutta tua nonna sei!’; poi ‘Giacomo, in gamba come tuo fratello’…ecc. Si avvicina il mio turno e penso che forse potrei dirle che sebbene il mio primo nome è ‘X’, tutti mi chiamano ‘Y’ magari spiegandole da dove deriva, poi potrei dirle che mi piace leggere e scrivere, che mia cugina ha frequentato il liceo classico…chissà. Ma non c’è stato tempo per alcuna disquisizione onomastica o genealogica. In quella frazione di secondo in cui lei ha pronunciato con freddo distacco il mio cognome ‘T….’ e io le ho riposto ‘Presente’, ha sollevato gli occhi cercandomi nella classe, poi li ha riabbassati sul registro chiamando il nome dopo il mio. È stato senza alcun dubbio il momento più significativo della mia carriera scolastica. Nessun guaio dopo, sia ben chiaro, se non la delusione di pensarmi sempre diversa dagli altri: fioccavano i 7, gli 8, persino i 9 in traduzione, ma mentre per gli altri era ‘bravo Francesco 7’, per me era ‘T… 8’. Tutt’ora quando la incontro che passeggia lenta, segnata dagli anni e dagli alunni, per lei resto ‘T…’. Certo è contenta dei traguardi che ho raggiunto e insieme parliamo, scherziamo, ricordiamo. Ma avverto sempre un muro invalicabile tra lei e me, chissà perché. Ora sono qui che mi appresto a diventare docente: a parte le indicazioni nazionali, le mappe disciplinari e le unità di apprendimento, penso che questo banale episodio di cronaca scolastica possa esser utile per recuperare il primissimo suggerimento per il mio futuro: sempre leggere l’elenco in modo uniforme, preferendo l’ordine nome-cognome per avvicinarsi e iniziare a sedurre (se-ducere, ‘condurre a sé) gli studenti.
Proprio come ha fatto con me la mia insegnante d’inglese della scuola media, alla quale devo tutta la mia carriera post scolastica, dalla laurea in lingue, al dottorato in traduzione, all’assegno di ricerca in corso. Capace di incuriosirmi ed entusiasmarmi ai suoni e ai modi anglofoni, è riuscita in tre anni a creare e solidificare le mie conoscenze linguistiche. Era sempre molto rigorosa, ma mai severa. Entusiasta ma mai compiacente. A volte Margaret Thatcher, a volte una Mary Shelley del XX secolo. Nessuno sgarrava con lei, perché a parte il sistema sempre temuto del controllo dei compiti a casa, lei ci accompagnava in tutto, sia nell’errore che nella correzione. Era capace di portare in classe il profumo del tè delle 5, i rumori della metropolitana di Londra, l’ossessione maniacale degli inglesi per il ‘mettersi in fila’, la tranquillità della campagna inglese, ma anche il grigiore delle estati inglesi. A lei devo davvero tutto. Thank you, prof!

S.S.A.S. ha detto...

Cari anonimi studenti, affido anch'io i miei ricordi al nostro blog. Devo dire che renderli "pubblici" mi fa vergognare un pò...e quindi da brava sassina professo l'anonimato e non mi firmo.

A proposito molto molto carino e...paradigmatico il ricordo dell'amica T.

PROFESSORI IN PILLOLE

Cominciamo da lontano: la maestra delle elementari.
Ci penso e ci ripenso e scopro solo adesso che il suo nome, che credevo essere patrimonio indelebile della mia mente, ormai non lo ricordo più.

In compenso c’è una cosa che ho stampata nella mente: la disposizione dei banchi in classe.
Sarà perché è rimasta praticamente invariata per cinque anni e perchè non era per nulla rispondente a criteri comuni -del tipo i più alti dietro, quelli più bassini o chiassosi in prima fila- ma dovuta all’incontro fra le variabili A e B.

A = Impiego dei genitori. B = Impegno nello studio.

Ovvero: papà e/o mamma erano due professionisti? Il bambino era sufficientemente diligente? (e sottolineo sufficientemente perché in realtà A aveva un peso maggiore rispetto a B)
Se quindi il piccolo scolaro possedeva l’una e l’altra caratteristica nel suo portfolio individuale poteva di diritto sedersi nelle tribune d’onore – i due banchi allineati di fronte alla cattedra- in caso contrario si finiva nell’indistinto girone a forma di U, ovvero in curva.

Scuola media.
Classe con numero di ripetenti altissimo, ragazzi caratteriali, qualche teppistello figlio di pregiudicati e insegnanti che non riuscivano a contenerli.
Se ne sono avvicendate diverse e ciò di cui serbo chiara memoria è la loro incapacità di agire, di farsi rispettare da questi ragazzi, di saperli coinvolgere e contenere.
E allora ecco fioccare grida e note (inutili), quindi richiami del preside, convocazione dei genitori e infine sospensioni, con la conseguenza che questi ragazzi un po’ “sbandatelli” finivano con il ritirarsi da scuola, con gran sospiro di sollievo da parte dei docenti, che: << …finalmente adesso un po’ possiamo lavorare>>.
Un altro particolare significativo, che si collega alla maestra delle elementari. In seconda media arriva una nuova professoressa di Lettere, ci affida un compitino: redigere una sintetica scheda biografica. Naturalmente fra i campi da completare non potevano mancare quelli relativi all’impiego dei propri genitori e questo, ancora una volta, la dice lunga…

Liceo.
La preside ripete a tutte le nuove reclute che questo è l’avamposto per le future classi dirigenti baresi e anche tutti i professori sembrano essere dello stesso avviso. Sono circondata da compagni dai nomi altisonanti, con genitori che fanno parte dell’associazione ex alunni… Ma c’è chi, come me, è lì perché ha visto l’intera saga di Indiana Jones e ha deciso che da grande farà l’archeologo o l’inviato speciale.
IV e V ginnasio. Il fulcro dei miei ricordi significativi e, ahimè, ancora una volta negativi.
Ho avuto una professoressa di lettere, greco, latino... a dir poco preparatissima, che non aveva nulla delle professoresse racchie, anziane e petulanti a cui ero abituata. Vestita alla moda, giovane, carina e molto molto carismatica, sia per noi che per i nostri genitori.
Un modello per le ragazzine di 13/14 anni alle prese con le “mutazioni” adolescenziali, che gusti precisi ancora non ne hanno, ma che avvertono forte la necessità di identificazione in un eroe adulto che non può più essere né papà né mammà.
Perfetto, mi si potrebbe dire.
A 13 anni ho iniziato a comprare le magliette con l’immagine di Che Guevara perché lui per la mia prof. era un eroe -l’eroe popolare dell’indipendenza cubana (peccato che non sapessi nient’altro di Cuba, anzi non sapevo neanche dove si trovasse con precisione…)- così come un certo Benny, morto quando io ancora non ero nata, per mano di giovani sodali dell’estrema destra, chi era costui? Che valore aveva per me? Nessuno, se non quello di essere un altro dei personaggi che popolavano l’universo parapolitico della mia professoressa e che automaticamente si trasformavano nei nostri eroi.
Ebbene, la nostra amata prof. ci suggeriva che cosa leggere, come vestirci, come comportarci, che posti frequentare, a quali scioperi partecipare, ecc. Insomma c’era qualcuno che sceglieva per noi e che, anche se in buona fede, negava a dei ragazzini la possibilità di iniziare ad avere un approccio critico ai fatti, alla storia e alla vita.
Il mio totale distacco l’ho avuto quando la cara prof. incominciò ad entrare con invadenza nelle nostre piccole vite. Si era data il ruolo di confidente, di confidenze che però forse a quella età nessuno farebbe ad un adulto.
Oltre ai voti dava anche giudizi sulle vite personali di ciascuno di noi, capitava che suggerisse di lasciare il fidanzatino di turno, inneggiando al femminismo (a tredici anni, in una classe in prevalenza femminile, con tre poverini mal capitati maschietti, gli unici che avevano il tacito consenso all’indifferenza e all’indipendenza).
I suoi vissuti divenivano la misura con cui giudicare, incanalare o eventualmente correggere le nostre scelte. Lei aveva divorziato giovanissima, gli uomini fanno in prevalenza schi.... e chi non era dello stesso avviso era: << un’oca giuliva>>.
Raccontava che lei anni prima era cicciotella ma poi si era messa a dieta, perché magre si è più carine.
In questo credo che abbia raggiunto il picco della sua totale superficialità e incompetenza nell’agire con delle ragazzine da educatrice. Seguendo il suo esempio molte cominciarono diete a base di caramelle dietorelle. Ma noi seguendola ed imitandola ci sentivamo grandi.
Ho dei ricordi un po’ spiacevoli legati a questa docente, ma mi fermo qui. La storia è lunga, dura due anni.
Io mi sono disinnamorata fra le prime. Al liceo piano piano è successo a tutta la classe.
Una professoressa di Lettere distaccata nel suo ruolo docente eppure comprensiva e lungimirante ci ha riconsegnato a noi stessi.

Sono stata un po’ sfortunata con i professori?
No, la mia è stata una scelta precisa, quella di sottolineare quelli che ho considerato gli aspetti significativamente negativi di alcuni di loro. Gli errori in cui io vorrei non cadere: la visione classista della scuola, l’indifferenza verso gli alunni con maggiori difficoltà e le strumentalizzazioni del proprio ruolo.

Ma ho anche ricordi positivi e una mamma docente, che ancora dopo tanti anni di lavoro non fa che ripetermi che insegnare è il lavoro più bello del mondo.

Anonimo ha detto...

L’insegnante che mi ha colpito maggiormente, in senso positivo, durante la mia carriera scolastica, è stato il mio professore di letteratura italiana del liceo. Estremamente ferrato nella sua materia, era in grado di chiarire qualsiasi dubbio di noi studenti su ogni argomento della lezione, dimostrando di avere una conoscenza ben superiore a quella trasmessa dal libro di testo. Nutriva una sincera passione per la disciplina che insegnava, e le sue lezioni erano in genere abbastanza chiare, anche se a volte si faceva prendere la mano e le rendeva un po’ troppo complesse, difficili da seguire. Non mancavano occasioni, d’altro canto, in cui rompeva la formalità della lezione facendo qualche battutina, o battutona, che suscitava l’ilarità della classe. Era infatti sempre di buon umore e non perdeva mai la calma: anche quando rimproverava uno studente indisciplinato assumeva un tono sì severo, ma sempre pacato: Nonostante questa tranquillità d’animo, la sua autorevolezza lo rendeva uno dei professori più rispettati dagli studenti, e le sue lezioni non erano mai soggette alle varie interferenze che affliggevano altri docenti che non riuscivano a tenere la classe. Quando interrogava era abbastanza esigente, non si accontentava di un’analisi superficiale, ma con domande incalzanti cercava di condurre lo studente ad una lettura più approfondita del testo, mettendo in evidenza le carenze di uno studio frettoloso; era indulgente quando doveva assegnare voti bassi, ma molto esigente quando doveva dare un voto alto, e il 10 non lo metteva neppure a se stesso.

Anonimo ha detto...

Se è vero che il whisk(e)y migliora col tempo, è anche vero che… il mio inglese col tempo non peggiora, nonostante faccia di tutto per non praticarlo, leggerlo, parlarlo…Di più: spesso mi capita di confrontare il mio lessico con altri e di accorgermi di possedere un repertorio linguistico vario ed efficace.
Già prima di scrivere queste righe ho pensato al perché, e la mia idea me l’ero fatta; tuttavia proprio di recente, parlando con mia cugina, casualmente ho “oggettivizzato” il mio pensiero. Il denominatore comune tra il mio inglese e quello suo era la docente: la stessa a distanza di più di un decennio…Inoltre sebbene mia cugina non fosse una “cima”, mentre io ero “bravo”, entrambi ci sentivamo più “padroni” della lingua rispetto ad altre persone con la stessa identica carriera scolastica nostra, ma frequentanti altre sezioni.
Il metodo della mia professoressa di Inglese del liceo, dunque, è la chiave delle mie conoscenze nonché delle mie competenze.
Dal primo giorno del primo anno esordiva entrando in aula con uno squillante “GOODMORNING!” in perfetto accento inglese che, più che un buongiorno, sembrava il “FUOCO ALLE POLVERI!” dell’ammiraglio Nelson all’ingaggio della battaglia di Trafalgar…l’attenzione di tutti noi era tutta per lei!
Sedutasi dietro la cattedra, cominciava ad emettere dei suoni che, sebbene in principio ci erano del tutto estranei e a volte anche ridicoli, man mano che passava il tempo ci si schiarivano, ci entravano nella testa e cominciavano ad uscirci dalla bocca, compreso quel famigerato “th” con la lingua tra i denti che mi sembrava sacrificare la mia dignità di figlio della madre terra Italica sull’altare della perfida Albione!
La lezione era un’alternarsi continuo di spiegazioni, letture, interrogazioni-colloqui che sebbene al momento mi sembrasse una centrifuga, adesso definirei un insieme organico, un continuum fluido spazio-temporale con la realtà inglese, anche di tipo storico-letterario e non solo linguistico. Tutti vi partecipavano ed erano chiamati in causa dal posto col proprio apporto “relativo”, tutti erano valutati in modo “relativo”, ma di quest’ultimo aspetto ce ne siamo resi conto dopo o i più illuminati già a fine anno. Mai nessuno ha contestato voti…mai nessuno si è sentito giudicato per altro!
Non è facile da spiegare, ma quando c’era Inglese, più che un “Inglese” solido, c’era un “English mood” liquido che ti entrava nelle branchie; ti faceva smettere di pensare in Italiano e di tradurlo, ti faceva pensare direttamente in Inglese:“thinking” non è “thinkare” o fare “pensing”! Ma di questo ho preso coscienza solo dopo…
Eliminare il passaggio della traduzione del pensiero permette di avere più tempo e neuroni a disposizione per poter apprezzare anche le sfumature…se hai fatto “Inglese” con la mia prof del liceo, hai tempo e competenza per sentire la differenza tra un whiskey ed un whisky!
P.S. …sarà un caso o nostalgia della mia prof. se non vedo l’ora di avere con me un british bulldog?

Anonimo ha detto...

Ah, i profs!


Il mio percorso scolastico è quello di una bimba che è stata la prima della classe alle elementari e ale medie...e poi al liceo ha deciso che si era scocciata di quel personaggio in fondo segretamente mal apprezzato dai compagni e ha deciso di diventare l'irriducibile ribelle della classe.
Ero tanto affezionata alla mia maestra delle elementari, la consideravo una seconda mamma e tutto quello che diceva non faceva altro che spronarmi ad imparare sempre di più e con tanto interesse sempre nuovo...ma adesso con un po' di distanza riesco a vedere che il suo metodo molto all'antica andava bene soltanto per i bamini che avevano un rendimento positivo e che venivano trattati con le premure e l'affetto che si danno a dei figli e con un feedback di gratificazione che li inorgogliva e li spronava a voler conservare la loro posizione privilegiata rispetto al resto della classe. Ma non credo che il buon rendimento fosse una questione di metodo: magari alcuni bambini avevano di per sè capacità superiori rispetto a quei poveretti che, avendo più difficoltà, venivano addirittura puniti e umiliati davanti al resto della classe nelle maniere più assurde, che oggi avrebbero fatto notizia, e non sono mai stati aiutati con un po' di umanità e pazienza per dare loro la possibilità di migliorare. In cinque anni di elementari con un'insegnante unica non ho mai visto cambiamenti nel rendimento: i bravi rimanevano bravi e i "somari", come li chiamava lei, stagnavano nello sconforto senza speranza, progressivamente più demotivati, covando odio per gli altri compagni "privilegiati".
La mia scomoda posizione di odiata "prima della classe" è cambiata al liceo (scientifico), quando per alcune dispute caratteriali con l'insegnante di matematica del biennio ho cominciato a rispondere a tono, fregandomene delle conseguenze: era la classica insegnante tiranna, molto avanti con gli anni, che terrorizza tutta la classe "e che non fa altro che parlar male dei "giovani d'oggi che sono solo delle bestie e dei fannulloni" e che quando interrogava cercava in tutti i modi di far "cadere" (diceva proprio così) il malcapitato di turno per cercare di scovare "la lacuna che cerca invano di nascondere".
Chi andava bene agli scritti era automaticamente esonerato dalle interrogazioni e chi invece andava male era richiamato alla lavagna anche per 4 o 5 volte di seguito. Ogni errore veniva sottolineato da battute abbastanza umilianti e la quasi totalità della classe, a parte le 5 (su 27!) persone che andavano bene, si è sciolta in crisi di lacrime davanti a tutti, dopo un'interrogazione..."Non sei portata per la matematica, piangerai anche tu la prossima volta", mi disse dopo un'interrogazione, davanti al resto della classe: le risposi che non le avrei mai dato questa soddisfazione e da quel momento misi completamente da parte la sua materia, sbandierandole il mio assoluto menefreghismo...
Potrei contnuare con tanti alri esempi di docenti, sia positivi che negativi, alcuni molto preparati e altri che avrebbero fatto meglio a tornare sui banchi, ma credo che quello che conti principalmente di un insegnante sia la sua maniera di porsi verso gli studenti, in modo da interessarli alla materia e magari trasmettergli il proprio amore per quello che si cerca di insegnare: avevo maturato un infantile e ostinato odio pieno di pergiudizi, per chi sceglieva la professione dell'insegnante, poi la mia professoressa di storia e filosofia del triennio mi ha fatto totalmente cambiare idea e mi ha dato la voglia di diventare come lei per riscattare ciò che c'è di buono nella professione e per assaporare il piacere di condividere e portare le proprie conoscenze e passioni agli altri.
Era un'insegnante sicuramente molto severa ed esigente, ma sapeva essere di un'umanità sorprendente. Molto preparata e competente, ha sempre spiegato con passione e chiarezza. Nessuno ha mai messo in discussione la sua autorità, ma non ha mai rifiutato il confronto e le contestazioni da parte nostra, era aperta alla discussione in maniera democratica e intelligente e pronta a chiarire in maniera esaustiva i nostri dubbi anche ripetute volte su uno stesso concetto con pazienza e rendendoci parte attiva della spiegazione: apprezzava chi chiedeva chiarimenti e lo spronava a ragionare insieme a lei e agli altri senza farlo sentire stupido, anzi, valorizzando la curiosità e la capacità di mettersi in discussione come sintomo di intelligenza.
Interrogava lasciando gli studenti seduti al proprio posto e con il libro aperto senza preoccuparsene: tanto a lei non inetressavano i dati mnemonici ma la comprensione profonda di ciò che stavamo studiando. Rassicurato dall'avere il libro davanti, la persona inetrrogata rompeva il ghiaccio sentendosi libera di parlare della lezione del giorno cominciando da dove preferiva, poi quando finiva ciò che aveva da dire lei cominciava a fare delle domande che andavano al di là dei dati scritti sulla pagina..."cerca, cerca: tanto sul libro non ci sta", diceva sorniona se qualcuno sfogliava le pagine o cercava di leggere gli appunti con la coda dell'occhio, in cerca di una risposta. Ci ha insegnato a studiare andando al di là delle date e dei nomi, ci ha dato la possibilità di riflettere e andare a fondo ai concetti, in più chiedendoci sempre di fare degli schemi scritti di ciò che studiavamo, che periodicamente controllava, ci ha fatto sviluppare un'importante capacità di sintesi analitica.